Era il 2000 quando davamo inizio alla nostra storia di affidamento dei beni confiscati impegnandoci in iniziative di affiancamento alla gestione di realtà confiscate alla criminalità organizzata: da Alcamo a Naro passando per Paceco abbiamo partecipato e vissuto da vicino la riconsegna di terreni e strutture abbandonate alla comunità vivendo a pieno la ricostruzione di una speranza nuova generata dall’istituzione della legge n. 109/96 per il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie.
Con gli anni, l’esperienza costruita con l’osservazione, il monitoraggio ed il lavoro sui lunghi processi che dal sequestro del bene portano all’effettivo riutilizzo sociale, ci ha portati ad individuare anche le “storture” del sistema: una tendenza, da parte delle associazioni o cooperative sociali ad isolarsi dal contesto, ad intraprendere una missione energica e radicale ma che non arriva ad attivare un vero dialogo o una reale condivisione con il territorio circostante.
Perché un bene è davvero della comunità, solo se anche gli abitanti sono partecipi e protagonisti anche del processo e destinatari di benefici reali. Questo è diventato per il Cresm un utile indicatore dell’impatto sociale che deve comportare la buona gestione di un bene confiscato: l’esistenza di ricadute sociali che coinvolgano chi vive e abita un territorio in cui si innesta la nuova storia per un bene che diventa così, non solo una realtà produttiva destinata al profitto, ma anche generatore di impatti sociali importanti per i sogni e le speranze di ambienti particolarmente fragili a causa della devastante disoccupazione e spopolamento.
Nell’arco di 20 anni sono pochissime le cooperative sociali autonome e autosufficienti in tutta Italia a dimostrazione di quanto ancora queste realtà siano ben poco consolidate: si tratta di realtà impegnate in produzioni di qualità e di alta fascia, posizionati su mercati di nicchia del Nord Italia, con prodotti necessariamente costosi in modo da poter interamente assorbire il costo di una produzione etica e legale. Ma realtà del genere, nate da iniziative sociali, non sono ancora capaci di garantire che l’aspetto imprenditoriale e l’impatto sociale avanzino di pari passo. Occorre espandere e replicare questa consapevolezza e garantire formazione e adeguate competenze alle innumerevoli piccole realtà che non riescono ancora a proporre un sistema economico virtuoso in un’ottica di sviluppo comunitario in termini di occupazione, di inclusione sociale, di miglioramento della qualità della vita e di partecipazione democratica.
Le cooperative di comunità sono un modello che ben si adatta a questa visione, ecco perché, con alcune federazioni di Confcooperative, abbiamo deciso di avviare un percorso che ci ha condotti alla nascita di un Coordinamento regionale e poi nazionale dei beni confiscati.
L’esperienza di gestione diretta maturata con la Fattoria Vitattiva Bio (dal 2014), è stata l’inizio del nuovo approccio su un terreno di sette ettari confiscato alla mafia e destinato alla coltivazione biologica di verdure e piante officinali. Fin dall’inizio abbiamo provato a gestire il terreno nel modo più partecipativo possibile attraverso la creazione di orti familiari, il coinvolgimento di scuole e associazioni locali, soprattutto quelle legate alla disabilità; e ospitiamo tirocini in collaborazione con il Dipartimento Salute Mentale di Castelvetrano, ma anche con l’UEPE di Trapani per periodi “messa alla prova”. Adesso condividiamo il terreno con una di queste associazioni (Con Noi e Dopo di Noi) e stiamo cercando di realizzare un progetto di AgriForesta e di ristrutturazione degli immobili per ospitare laboratori per scuole e persone disabili: abbiamo l’ambizione di far nascere un vero villaggio solidale in cui le stesse famiglie possano organizzarsi per fare attività con i figli e condividere la gestione della Fattoria.
Sulle Madonie, anche l’esperienza maturata con Verbumcaudo ci ha permesso di applicare alla realtà il nostro nuovo approccio teorico ridisegnando nuova storia del feudo di 150 ettari che fino al 1983 era di proprietà dei fratelli Greco, boss reggenti della famiglia di Ciaculli.Qui abbiamo voluto scommettere su un modello: la nuova cooperativa sociale affidataria del bene confiscato è infatti il risultato di un virtuoso percorso che ha visto una selezione pubblica di giovani aspiranti cooperatori e cooperatrici del territorio con l’obiettivo di restituire alla comunità locale un bene che producesse lavoro e ricchezza partendo dalla terra, dalle coltivazioni biologiche e di eccellenza. Abbiamo a lungo lavorato alla formazione degli undici partecipanti selezionati seguendoli in un percorso che ha fornito loro strumenti per la gestione dell’impresa; contemporaneamente ci siamo attivati sulla ricerca, grazie a Fondazione con il Sud, di finanziamenti adeguati alla lunga programmazione del lavoro della Cooperativa Sociale Verbumcaudo che oggi è, su scala nazionale, uno degli esempi migliori di impresa sociale di successo e fortemente votata alla coinvolgimento della comunità circostante. Al contempo, l’impegno del Cresm sul fronte del Coordinamento nazionale dei beni confiscati, ha permesso di creare un settore di implementazione delle strategie di sviluppo per le cooperative sociali, un ambito prima inesistente.
Da fondatori di un approccio metodologico nuovo siamo stati chiamati da Federsolidarietà, la Federazione Nazionale delle Cooperative Sociali, a presentare un progetto di formazione per tutto il Sud: vogliamo far crescere i 33 soggetti individuati, tra realtà che si occupano di servizi e altre che fanno produzione, che vogliono continuare a lavorare con obiettivi sociali organizzandosi anche nel saper diventare redditizie e, soprattutto, sostenibili, senza mai dimenticare di rendere destinatari di benefici le collettività che abbracciano i beni destinati ad una nuova vita.
Coltivazioni Fattoria Vitattiva Bio
Fattoria Vitattiva Bio